Deep Purple Machine Head, 50 anni di un capolavoro

In attesa della data milanese del “The Whoosh! Tour” (ultima data italiana) del tour dei Deep Purple, inizialmente prevista il 19 Ottobre 2020 e poi - in seguito all' emergenza epidemiologica da COVID-19 - posticipata al 17 Ottobre 2022, notizia addolcita dall'annuncio della presenza di un co-header d'eccezione i: “Jefferson Starship”, gruppo nato dalle ceneri dei celebri “Jefferson Airplane”... andiamo a recensire uno dei più grandi classici di questa iconica band capostipite del genere hard-rock, trampolino di lancio per il genere heavy metal: “Machine Head”, album che quest'anno spegne ben 50 candeline sulla torta.

Machine Head” (1972) è sicuramente uno dei prodotti della discografia dei DP più conosciuti, complice la presenza di una formazione eccellente denominata: “Mark II” ovvero la più celebrata line-up della band: Ian Gillan (voce), Ritchie Blackmore (chitarra), Jon Lord (tastierista-hammond), Roger Glover (bassista) e Ian Paice (batteria).

Tutto in questo album è la definizione perfetta di hard & heavy, a partire dalla copertina dell' album, essenziale ma al contempo davvero efficace: la foto di una lastra di metallo riflettente l'immagine deformata dei 5 musicisti da cui fa capolino la scritta incisa a sbalzo: “DEEP PURPLE MACHINE HEAD”. Un font essenziale, quasi fosse una marcatura a fuoco. Sul retro, la stessa scritta riflessa al contrario rivela il retro della lastra e il manico, con tanto di paletta e chiavi di un basso elettrico.

Ho sempre reputato molto interessante la scelta di inserire la foto di un basso, in quanto trovo che questo album contenga delle bellissime parti che ogni bassista dovrebbe conoscere e apprezzare.


Lato A

Highway Star” apre l'album con una sferzata di energia.Un Richie Blackmore (che due anni dopo fonderà un altro gruppo fondamentale nella storia dell' heavy metal: i Rainbow), al top della presenza. Armato di una Fender Stratocaster sunburst, interamente modificata dal pickup al manico (includendo un tremolo oversized per adattarsi meglio allo stile), seduce con un assolo alla quale subentra una sezione ritmica prorompente, al pieno della propria expertise su strada (il termine non può essere che azzeccato vista la tematica della lyric), seguito a ruota da un potentissimo vocalizzo in farsetto di Gillan. Un'ode alla velocità e ai motori e una grande anticipazione nei confronti di tutto quei genere successivo che osannerà il binomio. “Alright hold on tight, I'm a highway star”.

Maybe I'm a Leo” è la classica canzone che fa da riempitivo: piacevole, ma autoconclusiva. Leone di nome e di fatto (Gillan è nato il 19 Agosto), suona molto blues e racconta il retroscena di una vita sentimentale poco appagante. L'intera canzone gira grossomodo attorno allo stesso giro di basso, orecchiabile ma poco significativo: Acting like a fool I had to make her cry / Maybe I'm a leo but I ain't a lion / I'm hurting oh so bad, I want her now”.

Pictures of Home” introdotta da un assolo di batteria ad opera di Paice, riporta la questione su un altro piano, ha tutti quelle sonorità che saranno tipiche dell'ondata NWOBHM della scena anglosassone successiva. Gli assoli si sprecano: Glover / Lord / Blackmore.

Never Before” sempre una bella blues scale su cui si gioca una cantata melodica di Gillan. L'intro ha qualche vago sentore “funky”. Inizialmente pubblicata come singolo doveva essere la stella polare dell' album, successivamente eclissata dal successo strepitoso della prima traccia sul lato B...

Lato B

Apre le danze “Smoke on the Water”, con uno dei riff di chitarra più noti della storia del rock. Il resto è storia. Canzone nata per caso da un incidente a cui Glover assistette durante il pernottamento a Montreaux (Svizzera), località nella quale la band soggiornava per la registrazione dell' album. Si tratta, ovviamente dell'incendio del casinò cittadino ad opera di un fan di Frank Zappa. La storia la conoscono quasi tutti, ma per chi se la fosse dimenticata (o ancora non la conoscesse), pare che durante lo spettacolo di Zappa, uno spettatore lanciò un razzo segnaletico, mandando in polvere l'intero edificio. Glover osservando il fumo disperdersi in un cielo reso creminsi dal tramonto e i bagliori riflettersi nella superficie del lago antistante, scrisse il celebre verso: “Smoke on the water and fire in the sky”. Molto interessante anche il riff di basso che impreziosisce la canzone come un vestitino su misura. 

Lazy” qui l'hammond di Lord (genere di organo elettrico) e la chitarra di Blackmore si accoppiano in una melodia rythm and blues dai toni inizialmente liturgici, in cui entra un Ian Gillan all' armonica a bocca dandogli una sferzata country. Racconta di un uomo buttato a letto, pigro, incapace di scappare al proprio stesso destino: "You don't want to live, you don't want to cry no more".

Space Truckin'” una degna traccia a conclusione di un album che è un capolavoro. Recupera gran parte di quel repertorio dei primi Deep Purple. Sembra un po' una jam session improvvisata ma ben riuscita, il divertimento dei musicisti si avverte, infatti, durante tutta la durata della traccia.

Il ritmo rasenta la psichedelia: è ripetitivo, incalzante, i riff di chitarra sagaci e taglienti. Sentendola non si può che provare la sensazione di trovarsi a galleggiare in uno spazio pieno di colori, forme e musica. 

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